I Consigli della Biblioteca #46
Da un po’ di tempo a questa parte “spoiler” è diventato un termine di uso comune. Il verbo inglese “to spoil”, italianizzato in spoilerare, è entrato nei dizionari già verso i primi anni 2000 e significa rivelare, anche involontariamente, dettagli importanti della trama di un libro, di un film o, nel nostro caso, di un fumetto a chi non lo ha mai letto/visto così da rovinare la fruizione dello stesso tramite l’annullamento del cosiddetto effetto sorpresa.
Recensire My Friend Dahmer senza spoilerare uno dei dettagli più importanti, contenuto tra l’altro già nel titolo stesso, è pressoché impossibile. E’ proprio quel dettaglio a rendere speciale se non unico nel suo genere questo racconto in forma di fumetto. Per non inimicarci chi tiene a queste cose, vi avvertiamo che questo specifico spoiler, comunque molto leggero, è presente nel quarto paragrafo di questa recensione.
Sebbene la produzione letteraria di saggi di true crime e/o cronaca nera che trattano serial killer realmente esistiti sia decisamente più ampia, anche i fumetti si sono cimentati in questa impresa. Impossibile non citare il famosissimo From Hell di Alan Moore e Eddie Campbell del 1989 o, per restare sul suolo americano, il bellissimo Torso di Brian Michael Bendis e Marc Andreyko del 1999, che abbiamo già consigliato agli inizi di questa rubrica, o infine i Killer del Green River di Jeff Jensen e Jonathan Case del 2013.
Con My Friend Dahmer, Le Origini Del Mostro di Milwaukee (Gribaudo, 2012), di Derf Backderf (nom de plume di John Backderf) la narrazione è decisamente diversa dal solito. Innanzitutto perché, come suggerisce anche il sottotitolo, non viene analizzato il periodo in cui Jeffrey Dahmer, uno tra i serial killer più famosi della storia americana, era attivo, anzi nell’intero fumetto non c’è traccia di nessuno dei diciassette omicidi compiuti da Dahmer tra il 1978 e il 1991.
Ci si concentra invece sul periodo precedente, l’adolescenza di Dahmer, così mostrando al lettore tutti gli aspetti che la caratterizzavano: la solitudine, gli sforzi per essere integrato quando era considerato il “weirdo”/tipo strano della scuola, il bullismo, i problemi con l’alcolismo, le amicizie, i rapporti con una famiglia formata da un padre assente e da una madre con gravi problemi di vario tipo e infine anche le prime manifestazioni di un grave disturbo psicologico evidenziate dalla violenza contro gli animali e da una forte mancanza di empatia.
In secondo luogo perché lo stile del disegno di Backderf è molto particolare, un incrocio tra il Monty di Jim Meddick (striscia spesso presente negli albi della rivista Linus), l’uso degli spazi nelle vignette dei fumetti americani e canadesi underground di fine anni ‘80, e la cura dei dettagli alla “Robert Crumb”, particolarmente nel lettering e nell’uso sovrabbondante del testo. Ciò, ad una prima occhiata, potrebbe sviare la curiosità del potenziale lettore che a torto giudica questi disegni come non adatti a raccontare una storia del genere. Invece è anche questo contrasto a sostenere la sensazione di disagio che permea in alcune parti del racconto. A livello narrativo la storia scorre talmente bene da facilitare l’immersione nella lettura. Questa non è sempre tetra, anzi, ci sono anche momenti comici, mentre per fortuna nel realismo del racconto non c’è spazio per l’attenzione morbosa fine a sé stessa.
Ma, ed eccoci allo spoiler, il motivo per cui tutto questo è doppiamente interessante è che l’autore del fumetto è un testimone diretto, infatti è stato compagno di scuola nonché amico di Jeffrey Dahmer e l’intero fumetto è scritto sia dal suo punto di vista, o da quello di altri testimoni, che dalla prospettiva di Dahmer.
Nel secondo caso però non si entra mai fino in fondo nel personaggio, c’è sempre una minima distanza, probabilmente lo vediamo più di schiena che in volto. All’esperienza diretta, si aggiunge un grande lavoro di ricerca, come si può notare dalle ultime 23 pagine dedicate alle fonti, ad una scheda dei personaggi e alle note che spiegano, con una dovizia di particolari così certosina da ricordare la compulsività di Chester Brown, quanto di ogni vignetta sia stato elaborato da una base reale e quanto sia stato ricostruito.
My Friend Dahmer non tratta certo un argomento semplice ma ha una sua sensibilità nel farlo che ci porta a confrontare le nostre paure, spingendoci a interrogare noi stessi in maniera più profonda.
Ringraziamo per la donazione di questo albo Rodolfo Rotini.
Consiglio scritto da Giallo Giuman.