“I would like to do a story for children, but my work is still too heavy. It’s not good for children. Unfortunately, whenever I think of a story, things tend to get brutal.” Thomas Ott rivela la sua impotenza a costruire storie che non siano tragiche in un’intervista del 2002. Racconta che quando era bambino i suoi disegni erano già carichi di angoscia e cupezza e così, da allora, la cupezza è diventata una poetica.

Ott nasce nel 1966 a Zurigo, città composta e pulita di cui presto si stancherà andando a cercare il disordine metropolitano di Parigi per poi tornare di nuovo a vivere in Svizzera: ciclicamente, come nelle sue storie, dove le vite dei personaggi si ripetono amaramente in una circolarità sofferente.

Per immaginare una tavola di Ott devi crearti un’atmosfera particolare. Devi sentire l’ansia, la paranoia e non devi vedere vie di fuga. Devi sfiorare la follia, vedere quella vertigine sperando di non caderci. Devi immaginare un film muto in bianco e nero ma non ne devi associarne la chiarezza fotografica perché i disegni di Ott sono saturi di linee e ti opprimono la vista, e il cervello, amplificando parossisticamente la claustrofobia. Questo è lo scratchboarding, una tecnica che Ott fa sua sin da subito e che non lascerà mai più. Getta quindi una base di colore, nero, ovviamente, a nascondere ogni senso di giovialità, e con un coltellino graffia questa fitta e spessa patina rivelandone la scena. Il processo poietico è un flusso del tutto naturale. Cadendo in una situazione catatonica, si immerge nelle sue tavole e ne riesce come da un torpore notturno. Inscena così tutto ciò che è nella sua testa: oscure vite per un’oscura mente, l’outing come terapia. La realtà cinica ed autodistruttiva come musa. Scene da film noir, silenziose, a volerne peggiorare la già densa e macabra atmosfera. I personaggi riportati alla luce dal buio della tavola non sono altro che individui solitari, mesti, freaks, possessori di destini fatali e irreversibili. Se compare un segno di serenità non può che essere momentaneo perché la circolarità degli eventi riporta tutto a tragiche fini.

Un genere umano individualista, facce, o maschere, marchiate dall’infelicità e da una perenne insoddisfazione; motel fatiscenti; destini beffardi; ironia amara; violenza fine a sé stessa: è lo specchio da cui intravedi la follia che Thomas Ott ha posizionato fra le oscure pagine del noir esistenzialista.

 

Marisa Davolo

 

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